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sabato, Settembre 7, 2024
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Sanità: il 37% dei medici pronti a lasciare il “pubblico” per una cooperativa privata

Circa 4 medici su 10 sono pronti a lasciare il posto fisso in ospedale per lavorare con una cooperativa. È il risultato emerso da un sondaggio flash proposto dalla Cimo-Fesmed (Federazione sindacale medici dirigenti) ad un campione di 1000 medici: di questi, il 37,6% ha dichiarato di essere pronto a dimettersi da dipendente del Servizio sanitario nazionale per lavorare a gettone. Le percentuali risultano maggiori tra i camici bianchi più giovani (è disposto a lavorare per le coop il 50% di chi ha meno di 35 anni ed il 45% dei dottori tra i 36 ed i 45 anni) e comprensibilmente si riducono (al 28%) tra i medici più anziani, over 55, più vicini alla pensione. I più desiderosi di fuggire verso le cooperative sono i medici che lavorano nell’area dei servizi (che rappresentano il 46% di coloro che dichiarano di voler lavorare a gettone), seguiti da chi lavora in emergenza (42%), dai chirurghi (40%) e, infine, dall’area medica (32%).
“Il quadro emerso dal sondaggio non può non destare preoccupazione – commenta Guido Quici, Presidente della Federazione Cimo-Fesmed che riunisce le sigle Anpo-Ascoti, Cimo, Cimop e Fesmed -. È la rappresentazione plastica del disagio dei medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale che iniziano a vedere nelle coop l’unica ancora di salvezza per uscire da un sistema e da un’organizzazione del lavoro ormai insopportabili.
Ma se queste percentuali dovessero trasformarsi in dimissioni reali, ci ritroveremmo dinanzi al tramonto definitivo del Servizio sanitario nazionale, svuotato di molte delle sue professionalità e affidato in buona parte a società private che nessuno regola né controlla”.
Numerose le criticità relative alle cooperative che Cimo-Fesmed denuncia da tempo: l’assenza di trasparenza in merito al percorso formativo dei medici proposti, l’impossibilità di controllare il rispetto della normativa sull’orario di lavoro ed il riposo obbligatorio tra un turno e l’altro; l’ingiustizia di far guadagnare a chi lavora a gettone anche il triplo di quello che guadagna un dipendente nel corso del medesimo turno di servizio, avendo inoltre un carico di responsabilità inferiore.

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